Gheregheghez, ghez!

Gheregheghez, ghez! Gheregheghez, ghez! 
Gheregheghez, ghez ghez ghez!

 E' il famoso grido dell' Aeronautica Militare che viene ripetuto per tre volte a squarciagola.
Nasce nel 1924 al 1°Stormo Aeroplani da caccia per poi estendersi a tutti i reparti della Regia Aeronautica e subito dopo dell'A.M. Ora viene proposto durante i
brindisi o durante occasioni/eventi speciali,
ma all'epoca si usava per festeggiare una vittoria o commemorare la perdita
di qualche pilota oppure era una specie di rito propiziatorio per
una nuova impresa che si andava a svolgere.

Se qualcuno di voi si è chiesto almeno una volta il significato di questo grido, vi consiglio di leggere
qui di seguito un passaggio di un libro bellissimo che ne spiega in maniera esaustiva l'origine esatta.
Romy

Brano tratto dal libro di Giulio Lazzati, Stormi d'Italia, Mursia Editore, 1975

Negli anni immediatamente antecedenti la sua costituzione, la nostra aviazione, in seguito a varie cause (economiche, politiche, ecc.), vivacchiava con pochi uomini e ancor più scarsi mezzi;
 Regia Aeronauticaallo Stormo la situazione rispecchiava quella generale; gli aeroplani erano sparuti e logori;si trattava, infatti, di velivoli Spad VII e Spad VIII residuati di guerra.Il personale operava fra l'indifferenza degli alti comandi e la tolleranza dei governi di allora; si andava avanti cioè, sorretti solo dall'entusiasmo di coloro che avevano fatto parte
delle suaccennate squadriglie e che avevano volato nei cieli del Montello,
di Pola, di Vienna, di Primolano, di Cattaro, di Istrana, ecc..
Il tempo, purtroppo, non lavorava a favore dei più entusiasti, le avventure esaltanti, gli episodi di eroismo si stemperavano nel ricordo; persino la volontà s'affievoliva,
venendo meno la speranza in un avvenire migliore; proprio in quel periodo giunsero allo Stormo undici giovani complementi; sparuto gruppetto di coloro che, nonostante tutto, credevano nel futuro dell'aviazione.
I nostri giovani piloti, dopo aver frequentato le allora famose scuole di volo di Cameri e di Ghedi,
forti di una passione per il volo tanto profonda d'aver fatto dimenticare loro la provvisorietà
economica della scelta compiuta, s'accorsero, appena giunti allo stormo,
di essere trattati con sufficienza dagli anziani, e trovarono inoltre un clima di rassegnazione
che contrastava enormemente con l'esuberanza propria della loro giovinezza.
I vecchi li snobbavano, dal piedistallo di una passata esperienza di guerra che permetteva loro
di erudire piuttosto categoricamente i giovani "pinguini", rei solo di avuto l'ardire di inserirsi
nel mondo di così nobili "aquile". Per i giovani complementi fu giocoforza subire umilmente
in silenzio tale stato di cose rimuginando propositi di rivincita
difficili a mettersi in pratica anche perchè, i giovincelli a differenza degli anziani, avevano ridottissime disponibilità finanziarie.
In ogni modo, in attesa di tempi migliori, i nuovi piloti s'erano autodefiniti
quelli della "famiglia rame", appunto per via del metallo
delle poche monete che circolavano nelle loro saccocce;
anche per tutti gli altri componenti del 1° Stormo divennero ben
presto "quelli della famiglia rame".
Giunti però al limite della rassegnazione, umiliati da una routine stagnante
fatta di pochissimi voli e numerose attese, si decisero a rompere il silenzio;
lo volevano fare in modo plateale, che dimostrasse la loro indipendenza,
il loro baldanzoso "menefreghismo"(per usare un termine caro agli equipaggi di quegli anni),
la loro irrazionale e giovane speranza in un domani migliore e in un modo che non costasse
loro nulla pecuniariamente parlando;
così in occasione di una festa del reparto, in quel lontano 1924, a sovrastare le grida degli anziani,
undici pivelli lanciarono con tutto il loro fiato, un grido senza senso, carico di benevole rabbia,
contro tutti e tutto: Gheregheghez, ghez! Stupore e silenzio degli astanti, imbarazzo del comandante;
quelli della "famiglia rame" ne approfittavano subito per lanciare quel loro grido più forte,
più rabbioso: Gheregheghez, ghez!; la costernazione, la sorpresa avevano bloccato
gli altri e cosi il grido entrò prepotentemente nella vita dello stormo.
Con il trascorrere dei giorni esso fu accettato da tutti, anzi fu da tutti difeso
contro chi lo riteneva un che di senza senso; quella frase priva di un significato preciso
e senza un riferimento storico, che alla sua prima apparizione sembrava dovesse aver vita effimera,
divenne sempre più il simbolo degli appartenenti al reparto e ne suggellò via via
le vicende tristi o liete, gloriose o tragiche; anzi a poco a poco si estese ad altri reparti da caccia,
per la semplice ragione che molti piloti del 1° vennero trasferiti negli anni successivi in altri stormi.

Inserito il 13 febbraio 2014 ore 3:00 AM


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